martedì 11 giugno 2013

per gli esami orali...

Prof. Le volevo chiedere se durante l'esame orale è obbligatorio cominciare dalle materie di cui non si sono fatti gli scritti (storia, tecnica, arte, geografia...)

grazie... ciao :)

Arianna

venerdì 7 giugno 2013

Il mistero di Tunguska...svelato dagli italiani?

BOLOGNA - Il mistero di Tunguska potrebbe avere le ore contate. La misteriosa esplosione, pari a mille atomiche di Hiroshima, avvenuta 99 anni fa nella remota località della Siberia, sta per avere una spiegazione scientifica grazie ai ricercatori del Cnr e dell'Università di Bologna.
Per anni si è fantasticato attorno alle cause dell'esplosione: si è parlato di Ufo, antimateria, buchi neri o altri fenomeni mai dimostrati. Ora i nostri scienziati sono certi di avere in mano le prove che a Tunguska si è verificato il maggiore impatto storicamente accertato tra il nostro Pianeta e un corpo celeste.

La vicenda. Alle 7,14 del 30 giugno 1908 una devastante esplosione nelle vicinanze del fiume Podkamennaja Tunguska, abbattè 60 milioni di alberi in un'area di 2150 chilometri quadrati. Il rumore dell'esplosione fu udito a 1000 chilometri di distanza. Alcuni testimoni che si trovavano a 500 chilometri dal punto di impatto, riferirono di aver visto sollevarsi una nube di fumo all'orizzonte. Alcuni convogli della Ferrovia Transiberiana, a 600 chilometri dal punto di impatto rischiarono quasi di deragliare. Ma a Tunguska non è rimasta nessuna traccia di un cratere di impatto o di altri elementi chiaramenti riconducibile ad un corpo di origine extraterrestre. Almeno fino ad oggi.

Asteroide o cometa. Sulla rivista scientifica 'Terra Nova', è stato pubblicato il lavoro di un gruppo di ricercatori italiani dell'Ismar-Cnr e delle Università di Bologna e Trieste - Luca Gasperini, Francesca Alvisi, Gianni Biasini, Enrico Bonatti, Giuseppe Longo, Michele Pipan e Romano Serra - che hanno condotto sul luogo una spedizione scientifica. Dagli studi risulta che il lago Cheko, un piccolo specchio d'acqua, circa 500 metri di diametro, situato ad una decina di chilometri dall'epicentro dell'esplosione del 1908, può essere il cratere causato dall'impatto di un 'frammento' di circa cinque metri, sopravvissuto all'esplosione principale, che si è schiantato a 'bassa velocità', ovvero a circa un chilometro al secondo.

"L'esplosione si sarebbe verificata nell'atmosfera, 5-10 chilometri al di sopra della regione di Tunguska - spiega Luca Gasperini dell'Ismar-Cnr di Bologna -. Si è trattato della deflagrazione di un asteroide o di una cometa, (la prima ipotesi sostenuta in particolare da scienziati americani, mentre la seconda è sostenuta da ricercatori russi, ndr), di circa 50-80 metri di diametro. La zona di devastazione se centrata su Bologna - sottolinea il ricercatore - raggiungerebbe Ferrara, Forlì e Modena".

La ricerca. "Abbiamo effettuato uno studio geofisico e sedimentologico del lago per verificare se la sua formazione potesse essere correlata all'evento, e per rilevare nella sequenza sedimentaria del lago evidenze geofisiche e geochimiche dalle quali trarre informazioni sulla natura dell'oggetto cosmico", ha spiegato Luca Gasperini dell'Ismar-Cnr. "Varie spedizioni di studiosi avevano già esplorato la zona dell'esplosione senza trovare segni d'impatto o frammenti, e formulando ipotesi, anche molto diverse fra loro, per far luce su quello che è ormai considerato a tutti gli effetti un 'mistero'. Il nostro studio sul campo è stato effettuato principalmente utilizzando rilievi di acustica subacquea, con un obiettivo dunque più ambizioso di quello della prima spedizione italiana, avvenuta nel 1991, anch'essa organizzata dal professor Giuseppe Longo dell'Università di Bologna, e limitata alla ricerca di microparticelle dell'oggetto cosmico nella resina degli alberi".

Un lago diverso. Durante la spedizione 'Tunguska99' è stata quindi per la prima volta investigata con tecniche molto sofisticate la morfologia del fondo e la natura dei depositi del sottofondo lacustre, e raccolti campioni di sedimento. "Grazie a tali indagini - ha aggiunto il ricercatore - è stato possibile scoprire che la morfologia del lago è diversa da quella dei comuni laghi siberiani di origine termo-carsica: la natura dei sedimenti recuperati dal fondo sono invece compatibili con l'ipotesi dell'impatto, che sarebbe avvenuto in una foresta acquitrinosa con uno strato sottostante di permafrost (suolo permanentemente ghiacciato) spesso oltre 30 metri".

E' stato proprio lo scioglimento del permafrost avvenuto subito dopo l'impatto a modellare la forma e le dimensioni attuali del lago, e a nasconderne la vera natura di cratere da impatto per tutto questo tempo. Questa scoperta, se confermata, contribuirà, cento anni dopo a svelare il mistero di Tunguska, dando forti contributi, e nuove paure, sulla comprensione degli effetti dell'impatto di un asteroide o una cometa con la Terra. Ipotesi tutt'altro che remota e non infrequente nella storia del nostro pianeta.

(30 ottobre 2007

La bomba di Hiroshima

La mattina del 5 agosto 1945, poche ore prima dell'alba, il quadrimotore B-29 "Enola Gay" (nome della madre del pilota, il ventinovenne Paul W. Tibbets) si alza in volo da Tinian con a bordo 12 uomini di equipaggio e un unico ordigno bellico, che risulterà decisivo per la sorte del Giappone: una bomba atomica, denominata dagli statunitensi "Little boy". Lungo tre metri, con un diametro di uno e mezzo e un peso di cinque tonnellate, non ha un bersaglio preciso: verrà deciso al momento, secondo le condizioni atmosferiche. Arriva il bollettino meteorologico: "a Kokura cielo coperto in prossimità del suolo per nove decimi; a Nagasaki coperto totalmente; a Hiroshima quasi sereno, visibilità 10 miglia" Il bersaglio è scelto. L'aereo sorvola la zona a 10.500 metri di altezza e alle 8.15'17" viene sganciato l'ordigno. Tibbets scende in picchiata, guadagna velocità, vira di 180 gradi e si allontana. Ha 45 secondi di tempo. L'equipaggio conta sottovoce: "44, 43, 42, 41...". Un lampo abbaglia il cielo. "Cosa abbiamo fatto?". A 600 metri dal suolo la bomba esplode; dopo 7 secondi il silenzio è rotto da un tuono assordante: vengono distrutti tutti gli edifici nel raggio di tre chilometri, 30.000 persone muoiono sul colpo, altre 40.000 nel giro dei due giorni seguenti. Una colonna di fumo si alza lentamente a forma di fungo fino a 17.000 metri dal suolo. Inizia a cadere una pioggia viscida. I fiumi straripano ed invadono ciò che rimane della città giapponese. Alle 14.58 locali il B-29 di Tibbets atterra a Tianin. Ha segnato in modo indelebile la storia mondiale, ha lasciato un'impronta che rimarrà a lungo.
Come si è giunti ad una così drastica decisione? La risposta va ricercata nella visione del mondo del dopoguerra che gli USA (o perlomeno chi li guidava) avevano sviluppato già prima del conflitto stesso, intuendo i grandi vantaggi che avrebbero potuto trarre da esso. Dopo l'attacco giapponese a Pearl Harbor, gli Stati Uniti decisero di entrare in guerra a fianco degli alleati. Quando però viene il momento di sottoscrivere un documento ufficiale, Roosevelt chiede che venga firmato con la sigla "le Nazioni Unite". L'idea che il presidente aveva di questo organismo era completamente differente dal ruolo che essa svolge al giorno d'oggi. Egli infatti vedeva l'ONU come un organismo oligarchico formato da quattro potenze (USA, Gran Bretagna, URSS e Cina) che avrebbero avuto il compito di controllare il resto del mondo. La proposta incontrò però una vivace resistenza sia Londra che a Mosca, che avrebbero preferito una serie di organizzazioni regionali che, per forza di cose, avrebbero dovuto trovarsi nella sfera d'influenza di una di queste potenze. Entrambe finirono per accettare lo schema proposto dagli Stati Uniti, ma solo per causa di forza maggiore. La situazione economica all'interno degli Stati Uniti aveva infatti cominciato a cambiare intorno al 1938: gli industriali e i banchieri che dapprima, contrari ai piani di Roosevelt riguardo all'economia interna, avevano cercato in tutti i modi di contrastarlo per salvaguardare i propri interessi, osservando l'evolversi della situazione in Europa, con il nazismo che diventava sempre più aggressivo e acquisiva sempre maggior potere, decisero poi di cambiare radicalmente la situazione del loro capitalismo. L'industria americana, iniziando infatti a prendere coscienza del fatto che le si stava presentando l'occasione irripetibile di ereditare le prerogative imperiali di Inglesi e Francesi, decise di sfruttare la grande influenza che il presidente aveva sulla massa per i propri interessi.
A quel tempo il presidente in carica aveva il potere di eleggere, senza dover ottenere l’approvazione del senato, circa 2.700 persone tra funzionari e persone alle dipendenze dirette della Casa Bianca. Così i membri del Council on Foreign Relations, associazione dei più importanti banchieri, industriali, studiosi e uomini d’affari, poterono investire queste cariche, soprattutto nel ministero degli esteri, che mancava di esperienza e specializzazione, e che quindi era il posto adatto per i "tecnici" di Wall Street, riuscendo nel loro scopo di entrare nel controllo del paese. Nel 1939 si stipulò addirittura un contratto con il quale il Council si impegnava a fornire un gruppo di esperti e specialisti, prevedendo un futuro intervento degli U.S.A. nel conflitto mondiale. Si istituirono quattro gruppi di pianificazione strategica: uno per la sicurezza, uno per l’economia, uno per la politica e uno per i territori. Gli Stati Uniti si preparavano a sostituire l’Inghilterra nel dominio del mondo. Negli appunti del sottocomitato per la difesa del Comitato del Council si legge: "Gli Usa devono coltivare la visione di una regolamentazione del mondo, dopo questa guerra, che ci permetta di imporre le nostre condizioni, consistenti forse in una Pax Americana".
Gli Stati Uniti si ponevano quindi lo scopo di, eliminati il fascismo e il nazismo, formare una specie di impero, pensiero probabilmente non radicato nella massa, ma certamente nella classe dirigente. Col passare del tempo quindi il Council fu assorbito quasi interamente dai dipartimenti di Stato, fino a vedere nella potenza militare l’unico modo di attuare i propri scopi espansionistici.

L'ordigno nucleare usato nell'attacco ad Hiroshima
Così la formazione delle Nazioni Unite entrò nella strategia statunitense. Prova dell’avvenuto unificamento tra potere politico ed economico può essere il fatto che il governo, per la produzione di tutto il necessario all’entrata in guerra del paese, si affidò esclusivamente ad industrie private. La scelta di questa strategia non fu però esente da scontri tra gli stessi membri del Council e del governo, dapprima solo nei corridoi, poi anche in Senato. Il pensiero basilare era però radicato nelle menti di tutti: l’investimento bellico passò nel giro due anni da 8.400 milioni di dollari nel ’41, a quasi 100.000 milioni l’anno dopo. Iniziò così anche un trasferimento di ricchezze dalle casse pubbliche a quelle private. L’invenzione della bomba atomica poté così essere utilizzata anche dall’industria americana, sia per scopi pacifici che per scopi bellici. Una volta dimostrata la possibilità di sfruttamento economico dell’arma nucleare, tutte le principali compagnie ed industrie vollero metterci le mani. Così si decise per una divisione tra le varie industrie della produzione dei vari materiali necessari a realizzare la bomba. L’unica fonte di uranio allora conosciuta era però il Sudafrica, che allora era sotto il dominio inglese: gli Stati Uniti dovettero quindi includere da subito l’Inghilterra nell’organizzazione della produzione della bomba atomica. Gli accordi fra governo e industria portarono quest’ultima a controllare, attraverso l’Atomic Energy Commission, creata originariamente dal governo per controllare lo sviluppo e i guadagni dell’energia atomica, ma passata appunto subito sotto la sua influenza, tutta l’industria nucleare, finendo per monopolizzarla.
Lo sviluppo della bomba e i possibili guadagni provenienti da essa, insieme alla ormai radicata convinzione del futuro dominio degli U.S.A. sul mondo, fecero nascere l’idea che le Nazioni Unite sarebbero dovute essere il mezzo per dare il via all’espansione degli States. La posizione presa durante la guerra, e le innumerevoli risorse di mezzi e uomini a disposizione fecero sì che gli U.S.A. mantenessero una posizione sempre un gradino più in alto anche dei loro alleati, così che questi, già provati dalla guerra, non potevano nemmeno provare a cercare di fermare quell’impero che si stava creando, pur essendone, in parte, a conoscenza .

L'ordigno nucleare usato nell'attacco a Nagasaki
Roosevelt decise quindi di proporre a Churchill un piano per la formazione dell’ONU, che sarebbe servito a dividere il mondo in quattro sfere di influenza, sotto il controllo di U.S.A., Inghilterra, Francia e Cina: egli dava infatti per scontato che Mao Tse-Tung non sarebbe mai riuscito ad imporsi e che la Cina sarebbe rimasta anche dopo la guerra dalla sua parte. Churchill non era però d’accordo, ed insisteva invece perché fra le grandi potenze fosse inclusa anche la Francia. I "gendarmi" del mondo furono così cinque e Churchill si impegnò per fare accettare questo schema anche ai sovietici. Durante la conferenza di Yalta Stalin espresse i propri dubbi riguardo al progetto degli statunitensi, temendo che potesse diventare un futuro strumento contro lui e la sua Russia. Ognuna delle tre potenze intendeva comunque rimanere al di sopra delle Nazioni Unite, che avrebbero inevitabilmente posto numerosi limiti ai loro disegni. Il 13 aprile del 1945 sopraggiunge però la morte del presidente statunitense Roosevelt. Il comando passa al vicepresidente Truman, che il 26 giugno, dopo la conferenza di S.Francisco, firma insieme a tutti gli stati del mondo allora definibili tali, con l'esclusione di Germania e Italia, la Carta dell'ONU. La Carta, condannando la violenza bellica fra vari stati, dava all'ONU il compito di mantenere la pace, e sottolineava l'uguaglianza di tutti i popoli. Questo era però l'aspetto esteriore: in pratica la Carta esprimeva una legge dettata dagli Stati Uniti che avrebbero punito chiunque vi si fosse sottratto. Si dava agli altri quattro "gendarmi" previsti in precedenza un potere maggiore, in quanto erano gli unici che non avrebbero potuto essere dominati dagli Usa.
Il 17 luglio si aprì la conferenza di Postdam tra i vincitori della guerra in Europa, e i calorosi rapporti tra Churchill, Truman e Stalin sembravano indicare una futura armonia tra le tre grandi potenze. Il presidente statunitense aveva però già ricevuto il telegramma "il bimbo è nato in modo soddisfacente", che indicava il successo degli esperimenti atomici nel New Mexico. Dal '42 si lavorava infatti segretamente per la produzione dell'arma e solo Gran Bretagna e Canada ne erano al corrente. Si era infatti deciso di tenera la Russia all'oscuro di tutto: la bomba doveva infatti dimostrare all'alleato sovietico la superiorità dell'occidente. Questa decisioni suscitò violente critiche tra i pochi al corrente del progetto, ma Churchill e Roosevelt restarono della stessa opinione. Si attendevano i dati relativi all'ordigno, ma non si poteva sfigurare davanti all'opinione pubblica con una spesa di più di due miliardi di dollari senza alcuna conseguenza effettiva.
Si prese quindi la decisione definitiva: utilizzare l'arma appena possibile. Nella conferenza di Yalta Stalin fu convinto ad entrare in guerra contro il Giappone subito dopo la fine della guerra in Europa, ma non venne a conoscenza del piano statunitense. Quando Truman passò al potere, non sapeva nulla di questo progetto, e confermo le decisioni prese da Roosevelt riguardo all' atomica. A Postdam seppe da Stalin che il Giappone aveva chiesto la pace, ma si oppose fermamente a questa decisione. Voleva infatti dimostrare a tutto il mondo ma soprattutto al Stalin quale fosse la reale potenza degli Usa. Come disse poi Churchill, il presidente cambiò però il suo modo di fare con i russi: aveva infatti saputo quale era la spaventosa potenza dell'arma che era stata sviluppata, in grado di mettere in ginocchio il mondo.

Il risultato del bombardamento nucleare su Hiroshima
Il 24 Truman ordinò di sganciare le bombe, poco dopo averne fatto un cenno a Stalin. Questo però non sembrò meravigliato: i suoi servizi segreti tenevano sotto controllo lo sviluppo dell'arma già dal '42 ed egli non voleva parlare delle ricerche sovietiche sulla stessa. Il presidente statunitense però, tornato in paria, diede l'ordine di prepararsi ad una guerra totale con la Russia, intuendo già quello che sarebbe accaduto. La guerra che prima vedeva U.S.A. e U.R.S.S. contro il Giappone per la vittoria definitiva di una guerra già vinta, si stava trasformando in un conflitto tra Stati Uniti e Russia, tra due blocchi politicamente e ideologicamente contrapposti, per il dominio del mondo. Il 6 agosto 1945 la prima bomba atomica fu quindi sganciata sopra Hiroshima. Aveva una potenza pari a 12,5 chilotoni di TNT, al nucleo di uranio. Tre giorni dopo un'altra bomba di una potenza quasi doppia, con un nucleo di plutonio, fu sganciata su Nagasaki. Nel giro di cinque mesi morì un totale di 230.000 persone, tra morti all'istante e dopo più tempo, per via delle radiazioni nocive che la tremenda arma aveva sprigionato. Quando ciò venne fatto sapere, i capi militari statunitensi si mostrarono sorpresi: non si può sapere se essi davvero ignoravano le conseguenze dell'utilizzo della bomba o se agirono con cinismo, pur conoscendo l'effetto delle radiazioni che continuarono a mietere vittime per decenni. Truman, quando i dati relativi ai danni provocati dalla bomba gli furono comunicati, disse: "E' il più grande giorno della storia". In un comunicato affermava che le bombe erano state utilizzate per salvare la vita di 500.000 soldati americani, e che non erano altro che un avvertimento per il Giappone: se non si fosse arreso, altre bombe sarebbero cadute. Sottolineava inoltre come Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna, che possedevano la formula per realizzare la bomba atomica, non l'avrebbero rivelata al mondo finché non si fosse scongiurato il rischio di una distruzione totale. Affermava poi: "Siamo in grado di dire che usciamo da questa guerra come la nazione più potente del mondo. La nazione più potente, forse, di tutta la storia".

L'immensa nube di fumo provocata
dall'esplosione della bomba nucleare
Ci si è sempre però chiesti se l'utilizzo delle due bombe e l'uccisione di 300.000 persone erano militarmente necessari. Gli U.S.A. avevano infatti già ricevuto una richiesta di pace da parte del Giappone e i rapporti dell'aviazione affermavano che lo stato nipponico si sarebbe arreso certamente entro la fine dell'anno anche senza che si dimostrassero necessari lo sgancio dei due ordigni o le invasioni sul territorio giapponese. Questi rapporti smentiscono completamente il messaggio di Truman. Chi era quindi il vero destinatario della bomba? Le previsioni degli attacchi di terra già programmati ai danni del Giappone davano perdite non superiori a 40.000 uomini, ma il presidente continuò a gonfiare le cifre. Molti scrittori, nei loro saggi sull'energia atomica, avevano affermato l'inutilità militare del provvedimento definitivo. Nel '45 il timore di vedere la Germania vittoriosa non esisteva più e il Giappone era sul punto di arrendersi e gli U.S.A. avevano utilizzato le uniche due bombe di cui erano a disposizione con una fretta ingiustificabile. I più autorevoli scienziati statunitensi avevano inoltre ammonito il presidente di non utilizzare la bomba contro civili. Perché il presidente aveva agito comunque? Alcuni scrittori danno come motivo il fatto che Stalin si era impegnato ad attaccare il Giappone per l'8 agosto. Era chiaro che se la Russia fosse riuscita a scontrarsi vittoriosamente con il Giappone finche gli Stati Uniti erano fermi a Okinawa, ne avrebbe ricavato un grande prestigio internazionale, a danno degli Usa. Così, sganciate le due bombe, l'attacco russo riuscì, ma passò inosservato, a causa del clamore provocato dall'utilizzo della bomba nucleare. Cousins e Finletter danno un'interpretazione "americana" dell'accaduto dicendo: "Agendo così, abbiamo evitato una lotta per ilcontrollo effettivo del Giappone... Se noi non fossimo usciti dalla guerra in netto vantaggio sulla Russia, non avremmo avuto nessuna possibilità di opporci alla sua espansione". Si arriva così a dire che il lancio delle bombe può già essere considerato il primo atto della guerra fredda. L'idea di utilizzare la bomba atomica come arma contro l'U.R.R.S. era nata già prima della fine della guerra, poiché gli U.S.A. avevano già intuito ciò che sarebbe successo.

Un orologio fermatosi dopo
il bombardamento atomico
Il resoconto dei giornalisti giunti sul luogo del disastro prima dell'arrivo degli americani scrivono che tutti i feriti erano destinati a morire, che le radiazioni facevano morire più di 100 persone ogni giorno. Il giornalista W. Burchett, nel suo rapporto ai sovietici, scrive: "Gente non toccata dal cataclisma sta morendo ancora, misteriosamente, orribilmente... Hiroshima fa pensare ad una città sulla quale sia passato un enorme rullo compressore che l'abbia stritolata, annientata per sempre... Negli ospedali ho scoperto persone che, pur non avendo ricevuto alcuna ferita al momento dell'esplosione, stavano tuttavia morendo per i suoi misteriosi effetti". La stampa americana replicò più volte sottolineando che non c'era radioattività ad Hiroshima e dicendo che la propaganda del Giappone era volta soltanto a danneggiare gli Stati Uniti davanti all'opinione pubblica. L'esplosione della bomba non suscitò un grande clamore a Mosca: i principali quotidiani la nominarono soltanto, e non parlarono neppure di quella di Nagasaki. Solo giorni dopo accusarono la propaganda statunitense di voler sminuire il ruolo della Russia nella vittoria definitiva della guerra. Quando però le informazioni sugli effetti della bomba giunsero negli States, i militari si organizzarono subito per bloccare questa fuga di notizie. Chiusero l'accesso ai luoghi delle due stragi, sequestrarono tutto il materiale informativo, fecero chiudere alcuni laboratori e ospedali che si occupavano di studiare gli effetti della strage. Un reparto medico dell'esercito giunse ad Hiroshima per studiare questi effetti; ancora adesso, a 55 anni di distanza, si stanno curando persone affette dalle conseguenze del bombardamento. Questa politica di oblio funzionò perfettamente e la questione passò in secondo piano.
Nonostante il generale Eisenhower avesse annunciato che la bomba nucleare non sarebbe più stata usata come mezzo d'attacco, la politica militare degli Stati Uniti stava cambiando: secondo i rapporti di alcune riunioni segrete "gli Stati Uniti hanno potuto fino ad ora attenersi ad una tradizione di non colpire mai fino a che non fossero attaccati. Per il futuro, la nostra forza militare dovrà essere capace di sopraffare il nemico e di annientare la sua volontà e capacità di fare guerra prima che possa infliggerci un danno significativo". Ci si preparava, quindi, a dover scatenare una guerra contro l'U.R.R.S. prima che quella potesse organizzarsi per farlo per prima. Era già stato preparato un piano che prevedeva la distruzione di venti città russe con un attacco a sorpresa. Proprio il fattore sorpresa sarebbe dovuto essere quello su cui basarsi in caso di guerra. Tutto questo con la piena consapevolezza che la Russia non era in grado, al momento, di opporsi in nessun modo agli U.S.A.. Questi volevano infatti non solo che nessuno potesse attaccare la potenza statunitense, ma che nessuno fosse nemmeno in grado di difendersi da essa. Il generale Groves insisteva addirittura affinché nessuno oltre a U.S.A., Canada e Gran Bretagna fosse in grado di costruire ordigni nucleari. Tutto ciò fa vedere come il progetto degli Stati Uniti sia sempre stato quello di rimanere al di sopra di ogni altra nazione, tanto in guerra come in pace, tanto nel presente quanto nel futuro.

 Little Boy e Fat Man erano i nomi in codice delle due bombe sganciate.

Le olimpiadi del 1936

Visto che molti hanno deciso di portare questo argomento agli esami vi riporto qualche curiosità.

Quella di Berlino fu una delle edizioni più controverse della storia dei Giochi Moderni. Da un punto di vista organizzativo, sportivo e commerciale, infatti, le Olimpiadi del 1936 rappresentarono uno dei massimi vertici mai raggiunti dalla manifestazione, con infrastrutture moderne e costose, un’enorme partecipazione popolare (grazie anche alla televisione, che fece il suo esordio olimpico) e all’elevato livello agonistico delle gare. Ma, purtroppo, non si può dimenticare come i Giochi di Berlino furono trasformati da Joseph Goebbels in un formidabile strumento di propaganda per il regime di Adolf Hitler.
Assegnate alla capitale tedesca quando ancora il Fuhrer non era al potere, le Olimpiadi conobbero le prevedibili diserzioni di Spagna e Unione Sovietica. Presenti invece gli Stati Uniti, nonostante le molte riserve, che tuttavia dovettero lasciare il primato nel medagliere dopo quasi 30 anni di dominio: la preparatissima squadra tedesca, infatti, conquistò ben 89 medaglie (con 33 ori), contro le 56 (e 24 ori) degli americani, mancando il podio solo in tre sport: calcio, polo e basket (al suo esordio olimpico). Ma gli statunitensi regalarono ai Giochi il loro personaggio-copertina: l’afroamericano Jesse Owens che si aggiudicò 4 medaglie d’oro nei 100m, 200m, 4x100m e salto in lungo, un’impresa bissata solo da Carl Lewis 48 anni più tardi. La tradizione vuole che Hitler, furibondo per il trionfo di un atleta di colore, si sia rifiutato di salutare Owens, ma lo stesso velocista ha sempre negato l’episodio.
La squadra azzurra non riuscì a ripetere l’exploit di Los Angeles, chiudendo comunque al quarto posto nel medagliere generale, con 22 medaglie complessive, di cui 8 d’oro. Come sempre, gli italiani fecero la parte del leone nella scherma, conquistando 4 ori su 7 e 9 medaglie sulle 21 totali. L’Italia vinse anche il torneo di calcio, confermandosi la migliore squadra al mondo (vinse i Mondiali del ’34 e del ’38). Ma l’oro più importante arrivò da Ondina Valla negli 80m ostacoli: era il primo di una donna azzurra alle Olimpiadi. I Giochi del 1936 furono gli ultimi per il barone De Coubertin, che si spense l’anno successivo, e per altri milioni di persone: la guerra era alle porte, si sarebbe tornati a parlare di sport solo 12 anni dopo. 


Il video è tratto dal film "Olimpia" di Leni Riefenstahl, la regista preferita da Hitler.

Curiosità dal Giappone

Grazie alla sua conformazione, abbastanza lineare , il Giappone è uno dei paesi più idonei alla costruzione di ferrovie per treni ad alta velocità. E proprio qui, nel 1964, fu costruita la prima rete ferroviaria in grado di far correre sui suoi binari il treno superveloce, famoso in tutto il mondo, chiamato Shinkansen. Lo shinkansen 
Viaggia a 200 chilometri orari; è in grado di collegare tokyo a Osaka in 3 ore e 10 minuti, quando normalmente ne servirebbero 6 e mezza, ed è costato ben 380 miliardi di yen, circa 3.200 miliardi di lire. Da allora, sono state eseguite parecchie modifiche e migliorie; la linea ferroviaria a trasportato circa 3 miliardi di persone e ha coperto una distanza equivalente a 30.000 viaggi intorno al mondo. Il fatto più strabiliante è che da allora non si è mai verificato un solo incidente mortale: naturalmente lo si deve alla straordinaria manutenzione del mezzo e al progetto assai solido.
Shinkansen Viaggia a 200 chilometri orari; è in grado di collegare tokyo a Osaka in 3 ore e 10 minuti, quando normalmente ne servirebbero 6 e mezza, ed è costato ben 380 miliardi di yen, circa 3.200 miliardi di lire. Da allora, sono state eseguite parecchie modifiche e migliorie; la linea ferroviaria a trasportato circa 3 miliardi di persone e ha coperto una distanza equivalente a 30.000 viaggi intorno al mondo. Il fatto più strabiliante è che da allora non si è mai verificato un solo incidente mortale: naturalmente lo si deve alla straordinaria manutenzione del mezzo e al progetto assai solido.
Ogni paio di ruote è dotato di un motore col freno a disco; le rotaie vengono sottoposte a esame per tutta la loro lunghezza ogni dieci giorni, in modo da prevenire anche il minimo segno di usura. Durante i terremoti, lo Shinkansen si blocca automaticamente Ogni treno ha un suo nome ( come eco o luce ); tutti possiedono il vagone ristorante, alcuni anche i negozi ma nessuna carrozza letto, poichè sarebbe inutile. Chi si dimostra previdente e prenota il biglietto ( e quindi il posto ), può stare tranquillo: il suo sarà un viaggio supercomodo; chi prende il treno senza prenotazione deve invece aspettarsi vagoni stracolmi, come ogni normale treno giapponese.

I samurai

Etica incorruttibile, spirito di sacrificio, abilità, forza: i guerrieri del Sol Levante esercitano un fascino enorme sul mondo occidentale, sono i samurai. Nell’ antichità il Giappone era suddiviso in tanti piccoli staterelli rivali l’uno con l’altro e viveva in uno stato di perenne guerra. I nobili richiamarono a loro dei guerrieri valorosi e fedeli: i samurai (dal verbo saburau = servire-essere al servizio). Questi guerrieri si dotarono di un loro codice d’onore: il bushido, che oltre il comportamento sul campo di battaglia ne regolava la vita spirituale.
Cenni storici
samurai con katanaLa prime notizie storiche sui samurai risalgono al IX-X secolo e sono legate allo sviluppo in Giappone dello shogunato, un sistema feudale sopravvissuto per tutto l’Ottocento. «I samurai all’inizio erano miliziani assunti dai feudatari delle province per sedare le ribellioni» Nel 1185 salì al potere la prima grande famiglia di guerrieri, quella dei Minamoto, e lo shogunato si affermò definitivamente, mentre il potere imperiale perse centralità. «In realtà fin dalle sue origini il Giappone è stato caratterizzato da connotazioni militari».
All’inizi del 900 gravi carestie e conflitti bellici rensero il Governo centrale impossibilitato a garantire la sicurezza nazionale, per questo i nobili si costruirono propri eserciti personali composti da guerrieri provenienti dalle campagne e istruito al combattimento, le continue lotte interne finirono per aumentare il potere e l’importanza di questi guerrieri, contemporaneamente i nobili resero l’imperatore di fatto escluso dalla direzione dello stato. Dal XII secolo i samurai o bushi (“uomini che combattono”) costituircono la casta più importante della piramide sociale. I samurai erano al completo servizio del proprio padrone (daimyô) e per lui sono pronti anche a togliersi la vita tramite il famoso rituale chiamato seppuku. I samurai seguivano un codice di comportamento bellico chiamato bushido che letteralmente significa “via del guerriero”, il punto fermo del bushido era l’onore sia in battaglia che nella vita comune, il bushido inoltre disciplina i rapporti da tenere in uno stesso clan e con il proprio capo. Il samurai doveva essere sobrio, modesto, in guerra deve essere coraggioso, leale, solidale e naturalmente deve avere un grande onore. Ai samurai erano attribuiti spesso due termini: bun che indicava saggezza di tipo confuciano e bu che indicava il contesto marziale. Infatti una delle doti essenziali del samurai era il giusto equilibri tra azione e riflessione. La formazione ideale del samurai era un insieme di componenti, sociali, filosofiche, religiose. Non fu difficile per i bushi con innata semplicità shintoista assimilare le dottrine dello zen, il samurai fin da bambino imparava a non tradire nessun emozione ed a controllare il suo spirito, per fare ciò era necessario sacrificio e ore e ore di esercizi. Lo zen fu fondamentale ad allenare e perfezione il loro famoso autocontrollo in quanto le sue tecniche insegnavano ad avere la totale padronanza delle proprie emozioni, dote fondamentale per un samurai sempre di fronte alla morte.
I samurai nel mondo moderno
Oggi, per competere con la concorrenza orientale, l’economia americana, sta cercando proprio loro: non guerrieri, ma agguerriti manager dall’etica incorruttibile e in grado di identificare il proprio successo personale con quello del gruppo o dell’azienda. Lo afferma Andrea Pítasi, docente di Sociologia giuridica e della devianza all’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti, che ha studiato la cultura giapponese proprio per il suo contributo allo sviluppo di nuovi modelli di organizzazione aziendale.
«Nel Giappone antico», osserva Alida Alabiso, docente di Archeologia e storia dell’arte giapponese all’Università di Roma La Sapienza, autrice del libro I samurai (Newton & Compton, 158 pagine, 7,90 euro).
«la cultura samurai è sinonimo autodisciplina, capacità di sacrificio e dedizione. Non è un caso che i Giapponesi, se le finanze del Paese sono in crisi, si autotassino versando le tredicesime». Ciò che li anima è lo stesso profondo senso del dovere dei fascinosi guerrieri che dominarono il Giappone per 700 anni. Non è tuttavia questo aspetto ad accendere la fantasia di noi occidentali.
«Nella mentalità europea e soprattutto in quella latina», spiega Andrea Pitasi, «prevale l’idea del samurai come spirito libero, super-eroe guerriero senza macchia né paura che segue un rigido codice morale, ma non è “a servizio” di nessuno. Una figura che si identifica in realtà solo con i cosiddetti ronin, i samurai rimasti senza padrone dopo la sconfitta del loro signore che in Giappone erano considerati invece banditi o sbandati ».
Rapporto samurai-signore
Minamoto Yoritomo (1191), il fondatore dello shogunato di Kamakura, dettò alcune regole che rimasero fondamentali per i samurai, alla base di queste regole c’erano devozione e lealtà da parte del samurai al proprio signore. Questo rapporto legava entrambe le figure, il samurai si impegnava a servire il superiore il quale a sua volta lo ricompensava con un possedimento fondiario, chigyochi. Durante il x secolo la cerimonia di investitura da vassallo e signore era centrata su un giuramento che nel periodo Kamakura viene trascritto su un rotolo, kishomon. Il kishomon dopo essere stato compilato veniva bruciato e sciolto in un liquido che il samurai beveva, in questo modo il bushi interiorizzava sia materialmente che simbolicamente il patto che aveva fine solamente con la morte da parte di uno dei due contraenti. Il legame che univa i due era talmente forte che quando un signore moriva, molti dei suoi samurai si suicidavano per seguirlo anche nell’aldilà. Questa usanza veniva chiamata junshi e venne vietata per legge dopo che interi clan di samurai si suicidarono, non sparì però completamente. Uno degli episodi più famosi è senz’altro quello dei 47 ronin che si uccisero dopo avere vendicato il proprio signore. Gli obblighi del samurai verso il proprio signore erano molti: fedeltà, sottomissione, turni di guardia, fornitura di guerrieri, partecipazione alle spese per il mantenimento del potere da parte del proprio signore, in cambio il signore garantiva protezione, aiuto e ricompense dopo le battaglie. I principi che legavano il samurai al signore erano fondamentalmente due: giri= dovere e chugi= lealtà, il samurai doveva inoltre possedere saggezza= chi, valore= yu, benevolenza= jin; doveva essere coraggioso e forte ma nello stesso tempo composto e magnanimo, il coraggio era uno degli elementi fondamentali naturalmente. Il samurai era al servizio del Daimyo, Signore di un clan o di una provincia ricco e potente, a sua volta il Daimyo era al servizio dello Shogun (Generalissimo), il quale nominato dall’Imperatore, prima di diventare Shogun era anch’egli un Damyo. Lo Shogun governava in modo dispotico ed autoritario in nome dell’Imperatore, ma di fatto quest’ultimo possedeva solamente una carica onorifica.
Immagine samurai
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Prima guerra mondiale

Nel 1914 i rapporti tra le potenze europee erano tesi:  la Germania si impegnò a conquistare un impero coloniale in Africa e in Asia, ponendosi in conflitto con l’Inghilterra e la Francia che si sentiva minacciata anche sul suolo europeo poiché l’Impero tedesco le aveva già strappato l’Alsazia e la Lorena. Persino i rapporti tra Impero russo e Germania stavano andando deteriorando. La Gran Bretagna, invece, per timore di perdere le proprie colonie, pose fine alla sua politica isolazionistica. Nei Balcani la situazione si presentava veramente critica. Gran parte della regione era sotto il controllo dell’Impero ottomano, mentre la Bosnia-Erzegovina era sottoposta al dominio dell’Impero austriaco.    
 
 

                                                                                                                                                                                   
 
 
Il 28 giugno 1914, a Sarajevo, un nazionalista serbo, Gavrilo Princip (1), uccise l’erede al trono austriaco: l’arciduca Francesco  Ferdinando. L’imperatore austriaco assunse una posizione durissima e lanciò alla Serbia  un ultimatum, con il quale chiedeva che fossero destituiti tutti i ministri e gli ufficiali dell’esercito ostili all’Impero austro-ungarico  e che la stampa cessasse qualsiasi attività di propaganda contro l’Austria. Se entro un mese queste condizioni non fossero state accettate, l’imperatore asburgico avrebbe rivendicato la morte di Francesco Ferdinando (2) con le armi. 
 
                                       
 
      Gavrilo Princip (1)                                        Francesco Ferdinando (2)
 
Il 28 luglio, allo scadere dell’ultimatum, l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. Poiché la quest’ultima godeva della protezione della Russia, lo zar scese subito in campo contro l’Impero austro-ungarico. A quel punto scattò il meccanismo delle alleanze: da una parte erano schierati gli Imperi Centrali (Austria-Ungheria e Germania), l’Italia pur essendo legata a loro dalla Triplice Alleanza decise di non combattere al loro fianco poiché questo accordo aveva solo valore difensivo. Accanto all’Austria si schierò anche l’Impero ottomano. Dall’altra parte vi erano la Russia, la Francia e la Gran Bretagna, legate tra loro dalla Triplice Intesa. Ad essa si unì anche il Giappone, che si affrettò a conquistare i territori tedeschi in Cina.                                                                                                                                                                        Appena iniziato il conflitto, la Germania assalì la Francia, sul fronte occidentale. L’offensiva contro lo stato francese doveva essere sferrata da nord,  passando per il Belgio, mettono così in atto il piano Schlieffen. Essa dovrebbe essere stata una “guerra lampo” (blitz kriegh), invece si trasformò in una durissima guerra di posizione. I tedeschi penetrarono velocemente nel territorio francese e giunsero fino alla Marna. A quel punto la Gran Bretagna, sentendosi minacciata dalla flotta tedesca, inviò un forte contingente in aiuto alla Francia e così entrò in guerra. La battaglia continuò fino alla resa della Germania.                                                                                                                                                            Nel frattempo l’Austria-Ungheria era impegnata nel fronte orientale e nei Balcani. Gli Imperi Centrali avevano sperato in una guerra di breve durata, invece si trovarono a combattere una guerra di posizione dove i soldati erano costretti a rimanere all’interno delle trincee*. Talvolta venivano tentati assalti frontali che finivano come delle carneficine.
 

  
Lo scoppio della guerra colse l’Italia di sorpresa. Il paese era diviso, da una parte i neutralisti (cattolici e il partito socialista) dall’altra gli interventisti (repubblicani, anarchici, sindacalisti rivoluzionari, democratici di sinistra e nazionalisti). Il 26 aprile 1915 il governo italiano firmò il Patto di Londra il quale prevedeva l’entrata in guerra dell’Italia a favore della Triplice Intesa. In cambio, in caso di vittoria, lo stato italiano ci avrebbe guadagnato il Friuli Venezia Giulia,  il Trentino, l’Istria, la Dalmazia e alcune colonie in Africa e in Asia. Il 24 maggio 1915 l’Italia entrò ufficialmente in guerra.        All’inizio del 1916, gli Imperi Centrali, tentarono nuovamente un attacco contro le potenze dell’intesa. Sul fronte italiano, gli austriaci sferrarono una poderosa offensiva in Trentino, ma furono bloccati e respinti sull’alto piano di Asiago.                                                                                   Sul fronte occidentale, i tedeschi tentarono senza successo di penetrare in Francia. Nel drammatico attacco di Verdun morirono ben 7000000 soldati.                                                     

Nel 1917 la Russia si ritrovò dilaniata all’interno dallo scoppio della rivoluzione e quindi decise di non partecipare più al conflitto. Questo fatto permise all’Austria di spostare gran parte dell’esercito sul fronte italiano.  Il 24 ottobre 1917 le truppe di Cadorna furono attaccate a Caporetto e vennero costrette a ritirarsi al fiume Piave. Dopo questa dura sconfitta Cadorna venne sostituito dal generale Armando Diaz che preparò la controffensiva.
Nell’aprile del 1917 entrarono a far parte del conflitto anche gli Stati Uniti, sentendosi minacciati dalla Germania. Questo fatto cambiò le sorti della guerra. Gli Imperi Centrali tentarono una nuova offensiva sul fronte occidentale, giungendo nuovamente in prossimità della Marna. Ancora una volta, però vennero sconfitti dalla truppe francesi, aiutate da quelle americane.                          Il colpo definitivo ai due Imperi venne dal fronte italiano. Il generale Diaz, il 24 ottobre, passò alla controffensiva sulla linea del Piave, riconquistò le posizioni perdute e sfondò a Vittorio Veneto. L’esercito austriaco si disgregò completamente e non gli restò che firmare la rese il 4 novembre 1918. Questo assieme  a tanti altri fatti costrinsero Guglielmo II ad abdicare e l’11 novembre 1918 una delegazione tedesca firmò l’armistizio. 
Il 18 gennaio 1919 si aprì a Versailles la Conferenza della Pace. Ad essa vi parteciparono tutte le potenze vincitrici: Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Italia. Ancora una volta bisognava modificare i confini dell’Europa. Tutti si trovarono d’accordo nel fatto che la Germania fosse la vera artefice della guerra e quindi vennero prese contro di essa posizioni durissime:

-          L’Alsazia e la Lorena furono restituite alla Francia
-          La Renania  venne sottoposta per quindici anni all’occupazione delle potenze alleate
-          A est, la Germania  venne indebolita dalla costruzione del “Corridoi di Danzica”
-          Una piccola parte di essa fu ceduta al Belgio
-          Le sue colonie vennero distribuite tra Francia, Inghilterra e Russia.
L’Italia rimase delusa e ferita dai risultati ottenuti dalla Conferenza di Versailles. Secondo quanto detto nel Patto di Londra, il governo italiano era convinto di ottenere l’Istria, la Dalmazia, il Friuli Venezia Giulia, il Trentino e alcune colonie africane e asiatiche. Essa, invece, ottenne solamente il Friuli e il Trentino e l’Istria. Da qui nacque l’idea di una “vittoria mutilata”.                                                                                                                                                              E con questa conferenza a Prima Guerra Mondiale.



Africa

Africa: fisica
L'Africa per estensione è il terzo continente del mondo, la sua superficie è pari al 20,1% delle terre emerse.
I confini dell'Africa sono:
- a nord è separata dall'Europa dal mar Mediterraneo;
- a ovest è bagnata dall'oceano Atlantico;
- a est il canale di Suez la separa dall'Asia;
- a sud è bagnata dall'oceano Atlantico e Indiano.
I punti più estremi sono:
- nord= Capo Bon
- sud= Capo Agulhas
- ovest= Capo Verde
- est= Capo Hafun
 
 
I fiumi principali sono:
- Nilo - Niger - Congo - Zambesi - Limpopo - Orange
I laghi principali sono:
-lago Ciad - lago Alberto - lago Edoardo - lago Tanganica - lago Vittoria - lago Malawi
catene montuose e altopiani:
Atlante - Ahaggar - Tibesti - Acrocoro Etiopico - Monti Draghi
i mari principali sono:
- mar mediterraneo - Oceano Atlantico - mar Rosso - oceano Indiano
i golfi principali sono:
golfo di Aden - golfo di Guinea - golfo della Sirte
alcune isole:
Madagascar - Seicelle - St. Elena
deserti:
Sahara - Kalahari - Namib
 
Africa: politica
 
 
Africa: fasce climatiche  

 
 
 
La fascia equatoriale presenta molte foreste pluviali, ci sono abbondanti piogge e la zona ha assenza di stagioni. La zona tropicale ha temperature molto elevate e ci sono nette differenze tra le varie stagioni. Il clima arido caldo con forti escursioni termiche ha temperature molto elevate di giorno e basse durante la notte. la vegetazione è inesistente, perché in questa fascia si estendono soprattutto i deserti, tranne che nelle.
 
Africa: Popolazione
La densità è bassa e la popolazione è distribuita irregolarmente. Si distinguono, dal punto di vista del popolamento,:
-Africa bianca = popolata da genti di pelli chiare (arabi, berberi)
-Africa nera = abitata da popoli di pelle scura molti diversi dal punto di vista di etnia, usi e costumi e aspetto fisico.
Nel continente vivono anche europei (inglesi, francesi, spagnoli, portoghesi, italiani, greci).
I boeri discendono dagli olandesi e sono di pelle chiara, ma sono africani ormai da molte generazioni. Vi sono infine dei gruppi di asiatici (indiani, pakistani, cinesi) immigrati in epoche diverse.
 
Africa: lingue
 
Africa/mondo: religioni
 

Africa: agricoltura e allevamento
Agricoltura:  Agricoltura di sussistenza = tecniche primitive.
Piantagioni di: agrumi, banane, cacao, caffè, canna da zucchero, cereali, cotone, mais, tabacco, vite.
Allevamento:  bovini, caprini, equini, ovini.
 
IL GRAN RIFT AFRICANO:  Dal Mozambico, nell’Africa sud-orientale, fino al mar Rosso, il continente è inciso da un grande solco detto Fossa est-africana o anche Gran Rift africano, il magma risale lungo le grandi faglie che delimitano la Fossa e si stende sul suo fondo, dove vi sono numerose manifestazioni vulcaniche e emissioni di gas e di acqua ricca di minerali; qui nascerà un nuovo oceano, tra milioni di anni, perché il fondo continua ad abbassarsi e ad allargarsi, arriverà il momento in cui le acque del mar Rosso e dell’Oceano indiano penetreranno in essa allagandola.
 
Arianna Lollato
 
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